Piani di Zona: questi sconosciuti.

Diciamo che a un certo punto i nostri legislatori, presi da foga umanitaria, hanno varato una legge per agevolare acquisto e affitto di case per i meno abbienti.

Diciamo che sono state individuate delle aree cittadine di proprietà del Comune in cui i costruttori potevano edificare per poi rivendere a prezzi calmierati.

Diciamo che queste aree si chiamano Piani di Edilizia Economica e Popolare, P.E.E.P., per i quali sono stati istituiti degli uffici per il coordinamento, la vigilanza e il monitoraggio delle attività relative.

Diciamo che poi, anche in questo caso come in tutti, ma proprio tutti i casi di compravendite, la “prassi” dava l’alibi al proprietario di rivendere a prezzi di mercato, come se non ci fossero convenzioni e vincoli sul proprio immobile.

Non bastava la prassi di variare la distribuzione interna degli spazi, non bastava chiudere un balconcino, non bastava aprire o chiudere una finestra e semplicemente, quando andava bene, eseguire una variazione planimetrica catastale: no, adesso si comprava a prezzi bassi per poi rivendere a prezzi alti. Il tutto, vogliamo credere, in buona fede!

E i mutui venivano erogati, e gli atti di compravendita venivano trascritti.

Solo che ora gli attuali proprietari di case costruite in regime di edilizia agevolata, magari senza neanche rendersi conto di cosa acquistavano al momento della relativa compravendita, si ritrovano con la sentenza 18135/205 della Cassazione che si è ricordata della realtà e ha detto che il prezzo deve essere quello imposto e non quello sperato dai proprietari.

E non basta: chi ha acquistato una casa a 250.000 € si ritrova a poter vendere a 100.000. E, se proprio si arrabbia, si ritrova a denunciare chi gli ha venduto casa chiedendo la restituzione del plusvalore pagato. Così famiglie che, in buona fede, magari avendo acquistato alla terza, alla quarta compravendita dell’immobile, hanno rivenduto a propria volta a prezzi ormai “pieni” per consuetudine, si trovano sentenze civili che li costringono a restituire centinaia di migliaia di euro agli attuali proprietari, come se avessero commesso una truffa!

Tutto nasce con la Legge 167/1962, modificata dalla 865/1971, che introdusse il concetto di P.E.E.P. grazie al quale i comuni potevano espropriare a basso costo terreni al fine della realizzazione di opere di edilizia residenziale popolare e dei relativi servizi urbani e sociali: tutti i Comuni italiani con oltre 50.000 abitanti devono individuare aree destinate alla formazione dei P.E.E.P., anche con varianti ai Piani Regolatori vigenti e aree dove si ritiene opportuna la demolizione e ricostruzione.

Roma ci ripensa, forse ce l’abbiamo nel DNA, e di PEEP ne sono stati approvati due: il primo nel 1962 e il secondo nel 1987, per un totale di 118 Piani di Zona individuati all’interno delle aree dei P.E.E.P.

Va beh, poi ciliegina sulla torta, nel 2006 una piccola manovra di completamento individua nuove aree all’interno dei P.E.E.P. , tanto per gradire!

Ma una ciliegia tira l’altra, come i cioccolatini, e nel 2014 Roma approva alcune varianti in dieci Piani di Zona.

Da Spinaceto a Corviale, da Laurentino a Casilino: dai che si costruisce a prezzi bassi!

Sembra difficile, ma riassumiamo!

Il Comune e i Consorzi espropriano, la copertura delle spese per acquisire le aree provengono dalle concessioni in diritto di superficie a enti pubblici, imprese di costruzione e cooperative edilizie: si stipulano le convenzioni, che vengono trascritte presso l’ufficio dei registri immobiliari, tra l’ente concedente ed il richiedente la concessione.

La concessione del diritto di superficie ad enti pubblici per la realizzazione di impianti e servizi pubblici è a tempo indeterminato; in tutti gli altri casi ha una durata non inferiore ad anni 60 e non superiore ad anni 99.

Nelle convenzioni si stabiliscono i corrispettivi delle concessioni, le tipologie costruttive, la durata dei lavori, i criteri di determinazione di canoni di locazione e di prezzi di cessione, se prevista, le sanzioni per l’inosservanza di ciò che è stabilito nella convenzione da parte del concessionario.

Il prezzo massimo di cessione stabilito nella convenzione è il prezzo massimo non solo per il trasferimento della proprietà dell’abitazione al primo destinatario, ma anche per le successive compravendite, con criteri di aggiornamento dei prezzi stabiliti nella stessa convenzione.

Questo salvo istanza di affrancazione dei vincoli permessa dalla legge 448/1998.

Cioè?

Cioè si possono eliminare i vincoli per il prezzo massimo di cessione e del canone di locazione pagando un corrispettivo al Comune e sottoscrivendo una convenzione integrativa con il Comune: tutto ciò Roma lo ha stabilito con le Delibere del Commissario Straordinario 33/2015 e 40/2016, nonché con le Delibere della Giunta Comunale 13/2016 e 108/2016.

Solo a guardare questi numeri si fa fatica, se non altro visiva!

Possibile che abbiamo sempre bisogno di leggi, leggine, varianti, commi, sottocommi, modifiche, integrazioni?

Mai nessuno che ci capisca e sia competente e diligente e soprattutto completo, dall’inizio alla fine.

Fatto sta che pagando al Comune una quota stabilita i proprietari possono vendere a prezzi di libero mercato.

I tempi per l’istruttoria, salvo imprevisti, sono di 180 giorni: va beh, sorvoliamo! Le risorse del Dipartimento sono poche, si spera tutte competenti, si spera tutte efficienti, si spera: al Direttore Ing. Angela Mussumeci tutta la mia solidarietà.

Se poi si ha urgenza, in caso di imminente compravendita, separazione tra coniugi o divisione ereditaria… si ha una corsia preferenziale.

Però succede un fatto: il proprietario attuale, con una cifra di circa 30.000 € può svincolare il proprio immobile dal prezzo massimo di cessione, ma prima può fare causa al vecchio proprietario se questo gli ha venduto casa, magari inconsapevolmente, già a libero prezzo: l’attuale proprietario ha pagato 300.000, l’immobile doveva essere venduto a 100.000, fa causa e si vede restituire 200.000, paga 30.000 al Comune e rivende a 250.000, visto che i prezzi si sono abbassati per la crisi. Conto della serva, tanto per capire: costi 330.000, ricavi 450.000: piovono dal cielo 120.000 euro come se fosse neve.

Forse sarebbe giusto imporre le sole spese di affrancazione al proprietario precedente, evitando spiacevoli speculazioni, ma poi se il vecchio proprietario non c’è più, non ha eredi, è alle Maldive e non si trova…: un ginepraio!

About the author: Emiliano Cioffarelli

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